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Le Dimensioni dei veli nella Kabbalah
Quanti passaggi dobbiamo compiere a livello interiore per cogliere l’essenza di noi stessi!
Secondo la tradizione kabbalistica nell‘Albero della Vita esistono quattro veli.
Ogni velo separa l’essere umano da uno stato di coscienza superiore. L’accesso al piano di coscienza superiore diventa un’esperienza accessibile quando si inizia a liberare il nostro sentire oltre quei pensieri (ricorrenti) in cui amiamo identificarci ed affermare la nostra individualità.
I veli tra i vari piani esperienziali
Il primo dei veli si è generamente inclini a definirlo “iniziazione”.
Un “passaggio” celebrato da tante tradizioni e nel quale impariamo a superare l’influenza di Malkuth. Liberarci da questo “velo” consiste in una prova che superiamo quando la nostra intenzione (Kavanah) è tutta orientata a riunificare in Malkuth tutte le dimensioni superiori dell’Albero della Vita.
Unire Malkuth alle dimensioni superiori significa superare il primo “velo”. E’ un momento in cui ha inizio un lavoro di “tessitura” tra il piano materiale della vita e quel piano “psichico” da cui prende coscienza l’esistenza di altre dimensioni – dimensioni più spirituali – che ricorrono più nelle nostre emozioni che nei nostri pensieri. E queste “emozioni” si formano in una dimensione particolarmente influenzata dalle Sephiroth di Yesod, Neztach e Hod.
Il lavoro di “tessitura” mette alla prova la nostra intenzione e solo attraverso la perseveranza ci avvisiniamo a quello che è il secondo dei veli.
Il secondo dei Veli: il senso della vita
Il secondo velo è chiamato Velo di Paroket. Nella tradizione esoterica è conosciuto anche come “il velo del tempio”, perchè evidenzia l’esistenza di una dimensione superiore, capace di “influenzare” le Sephiroth del mondo psichico (Yessod, Hod, Nezakh).
“Togliere” questo velo, significa iniziare a comprendere che tutto quello che viviamo è solo un effetto “compensativo” dell’armonia dettata da dimensioni superiori. Superare il divario tra il piano inferiore a Paroket e il piano superiore consente di cogliere l’esperienza di Tipheret e la sua profonda natura “connettente”.
Si tratta di un momento esperienziale intensissimo che pone la vita al centro del sentire umano. Una specie di “illuminazione” su un piano della vita del qui e ora. E’ un momento apicale della coscienza nel quale viene rivelato lo scopo stesso dell’intenzione della ricerca umana.
Il terzo dei veli, la conoscenza
Il terzo velo “si svela”, come risultato di un lavoro perseverante, nel procedere oltre il senso della vita ricevuto, per coglierne lo scopo. Quando ci liberiamo di questo velo, viviamo contemporaneamente l’esistenza di più coscienze dentro il nostro sentire.
Questa è l’esperienza di Daat, dimensione a-temporale e a-spaziale in cui confluiscono gli influssi dettati dai mondi più elevati. E’ la dimensione esperienziale in cui si “riceve” l’esperienza della visione, in cui si condensano gli influssi provenienti da ogni dimensione.
Vengono chiamati i “7 raggi” da Helena P. Blavantsky, sei dei quali sorgono da due piani contrapposti: quello inferiore, caratterizzato dalle tre Sephiroth del mondo mistico (Tipheret, Ghevurah, Chesed) e quello superiore, contraddistinto dalle tre Sephiroth metafisiche (Binah, Chokhmah, Kether).
Il “passaggio” del terzo velo coinvolge in modo totale – sensorialmente ed emotivamente l’essere umano: questo coinvolgimento avviene in tutti i suoi aspetti energetici, psichici, mentali. Compiere questo passaggio consente di accedere ad un piano di consapevolezza che passa attraverso tutto il corpo, in quanto la mente diviene incapace di contenere la conoscenza del suo disegno complessivo. E’ un’esperienza impattante sia per la psiche che per il corpo stesso, in quanto attraverso questa esperienza si rivela la stessa natura divina che si cela dietro i 5 sensi.
Il compiemnto di questo passaggio consiste nell’accedere ad una dimensione della realtà in cui si perde la propria individualità e nella quale si viene dominati dall’estasi mistica.
Togliere i veli
Togliere un velo non è il risultato di un’azione, bensì la pratica di uno stato di coscienza.
E’ proprio in questo che la Kabbalah pratica si distingue. Non si tratta quindi di togliere il “velo” una tantum, bensì di saperlo eliminare in tutti quegli aspetti probatori che la vita ci pone di fronte. Pertanto non è iniziato chi fa l’esperienza iniziatica, bensì è l’esperienza pratica e costante che fa l’iniziato.
A.A.
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Nella Kabbalah esiste ancora una ulteriore dimensione, separata da un ultimo velo. Si tratta tuttavia di quel velo che separa l’Albero della Vita dal non creato primordiale, l’Ain Soph Aur, al quale ci si ricongiungerà al termine dell’esistenza stessa.